Ristorante Damini, Macelleria & Affini
Punteggio: 5 / 5
Prezzo (escluso bevande): 40 / 90,00 euro cad.
Specialità consigliate
Mai nome fu più evocativo di Damini macelleria & Affini: nonostante dal 2014 sia anche ristorante stellato (la prima macelleria in Italia ed Europa ad aver ottenuto la stella), non è venuta meno la sua origine di macelleria e bottega: appena si entra nel locale, infatti, sulla sinistra si vede, in tutta la sua lunghezza, uno spettacolare banco frigo dove sono esposti (e possono essere acquistate) tutti i tagli di carni di rigorosa produzione casalinga; ci sono, poi, gli scaffali con i pacchi di pasta dei migliori produttori d’Italia, nonché tutti i prodotti che ti aspetti di trovare in una gastronomia di livello.
Fanno la loro bella mostra anche gli scaffali con le bottiglie di vino che, di fatto, costituiscono anche la tanto insolita, quanto interessante, carta dei vini del ristorante (anche le bottiglie, come la carne, possono essere acquistate anche da asporto). Quando arriva il momento di scegliere un vino, se non ti affidi ciecamente a Gian Pietro Damini, fratello dello chef Giorgio, vieni, appunto, accompagnato a scegliere una bottiglia, prendendola direttamente dallo scaffale, temperatura di servizio permettendo.
Sono sincero, due anni fa, la prima volta che visitai il locale, abituato all’ambiente mediamente ingessato dei locali stellati, rimasi non poco stupito da tale impostazione. La zona ristorante, dove campeggia sulla libreria l’enciclopedia Treccani, ha un piglio sicuramente più austero rispetto alla macelleria, ma senza, tuttavia, mai perdersi nell’eccessivo formalismo; a riprova di ciò nel ristorante si vedono molti visi giovani, sino ad ora mai visti così abbondanti in uno stellato.
Arriva quindi, il momento della cena.
Ad essere sincero, ancora oggi, riguardando foto e appunti, non ho ancora ben compreso quale sia stato il suo iter iniziale, tuttavia, se una cosa è ben riuscita, perché rompere la magia ponendosi delle inutili domande?
Quello che è certo è che i primi due amuse-bouche sono serviti a mettere i puntini sulle “i” e a far capire l’altissima qualità della materia prima regina: la carne (quasi tutta limousine allevata nella loro azienda agricola).
Ad aprire la cena arriva un assaggio del famoso Damburger (Damini burger) cotto alla perfezione, che trasuda sapore e morbidezza, accompagnato da leggermente rivisitato un Pimm’s, ossia un classico cocktail estivo della tradizione inglese; dopo aver dimostrato la bontà della carne cotta, arriva la prova del crudo, con un assaggio di carpaccio di controfiletto frollato 45 giorni e una tartara di spalla frollata 5 giorni: consistenze e sapori assolutamente spettacolari.
Il mio tar-paccio, ossia un carpaccio condito come se fosse una tartara, arriva a fare da intermezzo ai piccoli assaggi dalla cucina, portando con sé una bella ventata di sapori perfettamente equilibrati tra di loro che, pur mantenendo il loro nitore, riuscivano sempre a far risaltare, in un turbinio ordinato di sensazioni, il sapore dell’ospite principale del piatto, ossia la carne; un ulteriore tocco di estro si ha dall’uovo marinato e impanato. Mentre ero intento a gustare il tar-paccio, il cameriere ha iniziato a preparare, lasciandolo in infusione accanto al tavolo, un fantastico brodo di carne, aromatizzato con spezie e camomilla, che ha costituito l’accompagnamento perfetto per un altro amuse-bouche, ossia dei passatelli della tradizione che, tuttavia, a fronte di un ottimo sapore risultavano avere una consistenza forse un po’ troppo delicata che li portava a sbriciolarsi nel brodo un po’ troppo in fretta.
A questo punto hanno fatto il loro ingresso, su un piccolo tagliere di legno, del cetriolo fermentato con sesamo nero, un piccolo arancino, una pallina di bollito fritto, un altro assaggio del Damburger con salsa verde e una chips di bresaola, tutti rigorosamente molto sfiziosi e golosi.
Tuttavia, il vero pezzo forte, a chiudere gli amuse-bouche, è stata la fettina di cotechino con spuma di lenticchie, servita in un bicchiere: il cotechino aveva una grana leggermente più fina di quelle che sino ad ora ho avuto occasione di assaggiare; il sapore era veramente delicato e ti faceva emozionare ad ogni cucchiaiata.
Lo spaghetto MA’KAIRA in saor è una divertente rivisitazione delle sarde in saor (sarde fritte servite con cipolle cotte con aceto e caramellate, pinoli e uvetta) ossia un antipasto tipico veneziano che, tuttavia, a causa dell’assoluta preponderanza delle note acide risulta non colpire perfettamente nel segno
Il tortello di anatra e brodo di bosco, invece, per quanto i sapori siano stati perfettamente nitidi ed equilibrati, non riesce a trasmettere particolari emozioni, nemmeno grazie all’accompagnamento con un mirabolante brodo di bosco (brodo di carne con funghi e tartufo in infusione) la cui pienezza dei sapori costituisce un piacere per il palato.
Un lampo colpisce la tavola con l’ingresso dell’orzotto al vino bianco, lumache al prezzemolo e patate dolci. Inutile voler cercare difetti in un piatto in cui non ce ne sono: perfetta la cottura dell’orzo, piacevoli le note leggermente acidule del vino in contrapposizione al dolce dell’aglio nero, ottimo il supporto del prezzemolo e le lumache cotte divinamente. What else?
Dopo aver assaggiato un piatto eccezionale ti aspetti, immancabilmente, un fisiologico calo, ma invece con le animelle, cavolfiori, lamponi e nocciole, che rappresentano, sicuramente, il piatto della serata, si riesce a stare al passo. La cottura perfetta della carne, da un lato, ne esaltava il sapore delicato e la morbidezza e, dall’altro, conferva quel delicato tocco di sapidità che faceva da controcanto alla dolcezza ereditata anche dal cavolfiore; lampone e nocciola davano rispettivamente acidità e croccantezza: un piatto perfetto a 360 gradi.
Un qualcosa di più, invero, mi aspettavo dal maiale-ino arrostito e BBQ, zucca, gnocco di pane e limone soprattutto in relazione alla sua cottura arrosto, auspicando di trovare una bella cotenna croccante, invece sono rimasto un po’ deluso dalla consistenza… Magistrale, invece, lo gnocco di pane con borraggine e limone. Ovviamente il sapore della carne era ottimo.
Con l’anatra: rosa e arrosto, crumble al malto, castagne, lamponi e caffè, sale in cattedra l’eccellenza della materia prima e la maestria dello Chef nella cottura, tuttavia, il piatto nel suo complesso, ovviamente sempre di ottima fattura, non risulta essere particolarmente emozionante.
Una menzione speciale merita, invece, il mio fegato alla veneziana in quanto costituisce l’ennesima conferma che l’alta cucina non incontra il limite del gusto personale dell’ospite: nonostante il fegato alla veneziana sia uno dei pochissimi (se non forse l’unico) piatti che ho molte difficoltà ad affrontare, la versione proposta dallo chef Giorgio è riuscita a lasciare un ottimo ricordo alla sia nella mia memoria che nel palato.
Il sapore caratteristico del fegato, per il vero molto delicato, veniva pulito in bocca dalle note acidule della spuma di aceto che, a sua volta, costituiva la nota di contrapposizione alla dolcezza della crema di mais e della cipolla; la salvia fritta, in chiusura, riesce a lasciare una sensazione di freschezza nel palato.
L’ultimo guizzo di salato della cena arriva con un assaggio di Grana Padano stagionato per ben 156 mesi che stupisce immediatamente per la sua delicata corposità che non spinge eccessivamente sulla sapidità, come si potrebbe pensare alla luce del fatto che si tratta sempre di un formaggio che ha ben 13 anni!
A preparare il palato alla dolce conclusione del pasto
arriva un piccolo cono di sorbetto al pompelmo e bitter, cui fanno seguito una frizzante (nel vero senso della parola) rivisitazione della cassata siciliana con lampone e un piccolo tiramisù.
Nel finale con il dolce cocco, bagigi, sesamo e menta si torna nuovamente in vetta. Nonostante la presenza del cocco, il sapore rimane sempre dolcemente delicato senza mai virare nello stucchevole; la menta, con le sue note erbacee, dà quella sensazione fresca e balsamica che serve a lasciare il palato bello pulito dopo una cena sicuramente importante e nel contempo ti invoglia a preparare il cucchiaino successivo.
A far compagnia ad un ottimo caffè del compianto Gianni Frasi, a degna conclusione di serata, arriva una superba piccola pasticceria.
In conclusione, Damini macelleria & Affini costituisce un unicum in Italia che sicuramente vale la pena di provare, soprattutto se si è amanti della carne e del buon vino. Un plauso ai fratelli Damini per essere riusciti a trovare la quadra con un locale in cui riescono a convivere l’anima di un negozio di macelleria e gastronomia con quella di un eccellente ristorante gourmet, in un continuo scambio esperienze senza che l’una pretenda di trasformare l’altra.
Recensore katsuobushi (Delegato Simon’s Food)